Insieme cambiamo il mondo!

50 donne che già hanno iniziato

Quali persone attivamente impegnate, le donne si battono per i loro diritti e mezzi di sussistenza e lottano per un’economia che rispetti i diritti umani e preservi l’ambiente. Per garantire questi successi, i loro diritti devono essere rafforzati.

 

Nella mostra “Insieme cambiamo il mondo! 50 donne che già hanno iniziato”, durante la Campagna ecumenica 2019 saranno presentate 50 di loro, e talune anche su questo sito internet nelle prossime settimane.

50 donne: eccone 4 di loro

Per presentarle tutte e 50, questo forse non è lo spazio più adatto. Tuttavia vorremmo presentarle alcune di queste donne straordinarie. Le scopra cliccando sul nome.

Come avvocato, suor Nathalie Kangaji si batte nella Repubblica Democratica del Congo per i diritti delle persone che soffrono delle conseguenze negative dell’estrazione del cobalto e del rame. Si tratta di salvaguardare i loro diritti in relazione all’impatto dell’attività mineraria sull’ambiente, al diritto alla salute e ai diritti fondiari.

Gli abitanti di queste zone sono per lo più molto poveri e hanno un’istruzione troppo scarsa per rivendicare da soli i loro diritti.

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La miniera di rame della Kamoto Copper Company (KCC), vicino alla città congolese di Kolwezi, è controllata dal gruppo svizzero di materie prime Glencore.

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La lunga attesa davanti ai punti di rifornimento idrico: a Musonoi l’acqua scorre solo per due ore al giorno.

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Per molte persone a Kolwezi la chiesa è un luogo importante di ritrovo e di speranza in considerazione delle loro difficili condizioni di vita. Nella foto la messa domenicale nella chiesa di San Giovanni nel quartiere di Musonoi.

Nonhle Mbuthuma fa parte del gruppo Pondo, è contadina e lavora come guida turistica. Da 10 anni si sta opponendo all’apertura di una miniera di ilmenite da parte di un’impresa australiana che distruggerebbe 22 km di spiagge pregiate. Si è talmente esposta che oggi deve vivere sotto scorta 24 ore su 24 e non osa più abitare nel suo comune.

 

«Moriremo avvelenati dalla miniera. Oppure dai proiettili che spareranno contro di noi quando cercheremo di opporci alla sua apertura.

 

Mi impegno per proteggere la nostra terra ad Amadiba. C’è stato un avvenimento che ha fatto nascere in me l’esigenza di reagire: nell’estate del 2005 un’impresa mineraria ottenne il diritto di fare prospezioni sulle nostre terre situate sulla costa. Arrivarono senza preavviso e iniziarono a trivellare, dapprima lontano dai testimoni oculari, ma poi si avventurarono all’interno e fecero prospezioni anche nei campi in cui stava crescendo il mais. Dopo un primo momento di confusione e spavento durante il quale le donne sole cercarono di difendere i loro orti, ci unimmo e li facemmo fuggire.

 

Dobbiamo difendere la terra dei nostri avi dallo sfruttamento commerciale. Perciò per dieci anni siamo riusciti a impedire che le miniere iniziassero le loro attività sulla costa di Amadiba. Al loro posto abbiamo sviluppato piccoli progetti locali generatori di reddito.»

 

A fine 2018, Nonhle Mbuthuma e il comitato di crisi di Amandiba, di cui è la portavoce, hanno ottenuto una vittoria rivoluzionaria. In una causa, hanno chiesto di essere informati e sentiti sulla costruzione di una miniera, così come il diritto di rifiutare la costruzione di una miniera. Ora hanno avuto ragione. Ma la loro lotta non è ancora finita.

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«Esercitando la funzione di protettrici e protettori della foresta viviamo sotto minaccia. Infatti il numero dei leader indigeni assassinati è in continuo aumento. Perchè? Per il fatto che ci battiamo per difendere il nostro diritto alla vita, all’accesso all’acqua e alla terra. 

 

Il ministero per l’ambiente brasiliano approva tutto quello che sta succedendo: deforestazione, centrali idroelettriche, canali fluviali. Tutto gioca a favore del capitale. I bisogni primari e gli interessi delle persone, in particolare le popolazioni locali non contano. Abbiamo preso a cuore la nostra causa, ma per avere successo dobbiamo arrivare a occupare posti in governo. Facciamo piccoli passi per far cambiare le cose e sul piano locale abbiamo agito collaborando molto con altre popolazioni native in minoranza come noi. Abbiamo dimostrato che possiamo batterci insieme.

 

Dal momento che quello che il Brasile racconta fuori dal paese è in contrasto con quello che accade qui davvero, dobbiamo portare le voci delle popolazioni native alla Conferenza ONU sul Clima. Grandi leader politici, imprese e proprietari terrieri dovrebbero essere puniti per quello che commettono a danno della vita di persone e di animali, della vita nelle foreste e nei fiumi.

 

Fuori dal Brasile il governo è elogiato, mentre noi proprio per quel governo qui stiamo morendo.»

 

“En nome de que – In nome di chi?” si chiede l’organizzazione partner, che ha prodotto questo video e per la quale si impegna Marta Tipuici.

«Un giorno durante una manifestazione un poliziotto mi domandò: ‘Suora, non sarebbe meglio se lei si occupasse dell’anima delle persone?’. Ribattei: ‘Lei vede delle anime qui? Io vedo solo persone’›.

 

Da quando sono giovane mi impegno per le pari opportunità, sia nella società sia nella chiesa. Credo anche che le donne sarebbero preti migliori anche se io non ho mai voluto far parte di questo “boys club”. Prima di essere femminista sono stata un’attivista politica. Lo sono diventata sperimentando che cosa vuole dire solidarietà: nel 1975 ho accompagnato un gruppo di operaie e di operai che scioperavano in una fabbrica. Solo in seguito, la partecipazione alla Frauenkonferenz organizzata dal Consiglio ecumenico delle Chiese a Venezia mi ha resa attenta alla specificità dell’aspetto femminile e alle dinamiche dell’oppressione di genere. Ciò ha provocato la mia passione e il mio impegno a favore delle donne.

Come suora benedettina attingo la mia forza dalla contemplazione. Sono un’attivista contemplativa. Per le Filippine mi auguro che tutte e tutti abbiano una casa e un pezzo di terra. Per dar modo ai genitori di produrre un reddito, ai bambini di seguire una formazione e alle famiglie al completo di passare il tempo libero insieme. Naturalmente mi auguro per le prossime generazioni la realizzazione delle pari opportunità tra donna e uomo.»

 

A 19 anni Suor Mary John è entrata nell’ordine delle monache benedettine e più tardi è stata a lungo badessa della sua comunità. Dopo aver concluso gli studi teologici e filosofici in Germania fu la prima donna a ottenere il dottorato di ricerca presso la Pontificia Università di Roma. Nel 1985 fondò l’istituto per gli studi della donna a Manila che ancora dirige. Nel 2011 Women Deliver l’ha scelta come una delle 100 personalità più ispiratrici del mondo. Il suo talk show Nun Sense, makes sense, ha fatto furore così come il suo libro con l’omonimo titolo.

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