Nonhle Mbuthuma fa parte del gruppo Pondo, è contadina e lavora come guida turistica. Da 10 anni si sta opponendo all’apertura di una miniera di ilmenite da parte di un’impresa australiana che distruggerebbe 22 km di spiagge pregiate. Si è talmente esposta che oggi deve vivere sotto scorta 24 ore su 24 e non osa più abitare nel suo comune.
«Moriremo avvelenati dalla miniera. Oppure dai proiettili che spareranno contro di noi quando cercheremo di opporci alla sua apertura.
Mi impegno per proteggere la nostra terra ad Amadiba. C’è stato un avvenimento che ha fatto nascere in me l’esigenza di reagire: nell’estate del 2005 un’impresa mineraria ottenne il diritto di fare prospezioni sulle nostre terre situate sulla costa. Arrivarono senza preavviso e iniziarono a trivellare, dapprima lontano dai testimoni oculari, ma poi si avventurarono all’interno e fecero prospezioni anche nei campi in cui stava crescendo il mais. Dopo un primo momento di confusione e spavento durante il quale le donne sole cercarono di difendere i loro orti, ci unimmo e li facemmo fuggire.
Dobbiamo difendere la terra dei nostri avi dallo sfruttamento commerciale. Perciò per dieci anni siamo riusciti a impedire che le miniere iniziassero le loro attività sulla costa di Amadiba. Al loro posto abbiamo sviluppato piccoli progetti locali generatori di reddito.»
A fine 2018, Nonhle Mbuthuma e il comitato di crisi di Amandiba, di cui è la portavoce, hanno ottenuto una vittoria rivoluzionaria. In una causa, hanno chiesto di essere informati e sentiti sulla costruzione di una miniera, così come il diritto di rifiutare la costruzione di una miniera. Ora hanno avuto ragione. Ma la loro lotta non è ancora finita.